Chi vincerà l’eterna lotta tra alfieri del Made in Italy e consumatori con le tasche semivuote? Di ritorno dall’ultima edizione di Fa’ la cosa giusta ho provato a fare un bilancio sulla manifestazione e il commento unanime è stato ‘Costava tutto troppo’. Dal cibo ai vestiti, dalle proposte di viaggi ai divani in esposizione, la sensazione condivisa era che i prezzi dei prodotti fossero troppo alti per una fiera che vorrebbe farsi portavoce di un ‘consumo critico e sostenibile’. Già, ma per chi? Solo per le tasche dei produttori o anche per i consumatori?

Non voglio farne una caccia alle streghe sapendo con quanta fatica chiunque si mette in proprio riesca a finalizzare una produzione per portarla alla vendita. Ma il dubbio rimane aperto: perché dare il giusto valore a un prodotto unico (artigianale, italiano e a filiera produttiva etica) significa spendere tanto, forse troppo rispetto a quanto saremmo disposti a pagare?

Vorrei che fosse chiaro a tutti i produttori che basano la loro politica dei prezzi sull’equazione qualità=prezzo alto, che la soluzione per noi è non comprare. E che i primi a rimetterci siete voi. Perché il vostro prodotto non gira, perché non recuperate le spese, perché potrete investire quanto volete nel posizionamento ma se la gente non acquista, non andrete da nessuna parte.

È per questo che disapprovo la scelta di molti neo-imprenditori di far pagare un prezzo eccessivo per le proprie creazioni: la produzione è artigianale, spesso non ci sono intermediari se non uno (il negozio, e neanche sempre), spesso si comincia a vendere in situazioni diciamo così ‘amatoriali’, com’è possibile pagare un capo o un accessorio più di quanto lo pagherei in un negozio? Se l’obiettivo iniziale è farsi conoscere e far parlare di sé, bisogna essere disposti ad andare in pari (sì, in pari, non in perdita) e vendere il più possibile, anche per fare un po’ di cassa da reinvestire.

Sì ma l’idea, il concept, il valore del marchio, le spese di produzione, i costi indiretti (il commercialista, il sito web, la partecipazione a eventi o l’acquisto delle strutture, la comunicazione)… Quelli a chi li faccio pagare? Beh io penso che all’inizio si debba essere capaci di soffrire, sopportare un po’ e stringere i denti per raggiungere un obiettivo più alto. Altrimenti il design, l’originalità o il consumo di prodotti sani saranno sempre d’élite, mentre noi comuni mortali continueremo a comprare cose da H&M e uova col codice 3 davanti (sapete cos’è?). Basta saperlo… ma non parlatemi di ‘consumi sostenibili’.